Dal giorno del suo rinvenimento sul colle dell’Esquilino, nel gennaio del 1506, il gruppo marmoreo del Laocoonte occupa un posto privilegiato nella galleria dei capisaldi dell’arte ellenistica, trovando riscontro nella testimonianza di Plinio il Vecchio sui tre summi artifices dell’isola di Rodi (36.37). Tale formidabile icona della sofferenza virile, che soggiogò l’immaginario dello stesso Michelangelo, ha conosciuto una lunga e talora controversa ricezione moderna, fatta di discussioni cronologiche e attribuzionistiche, nonché di riflessioni di natura estetica e morale. Uno dei momenti più interessanti della fortuna del Laocoonte è sicuramente costituito dal saggio di Gotthold Ephraim Lessing, Laokoon oder über die Grenzen der Malerei und Poesie (“Laocoonte ovvero dei limiti della pittura e della poesia”, 1766), dove questo capolavoro della scultura antica dà spunto a considerazioni teoriche tuttora fondamentali, intorno alla rappresentazione dello spazio e del tempo nelle arti figurative e nella scrittura letteraria.
Relatore: Maurizio Harari, già professore ordinario di Etruscologia e direttore del Dipartimento di Studi umanistici dell’Università di Pavia; membro ordinario dell’Istituto nazionale di Studi etruschi e italici. Ha diretto scavi archeologici in siti dell’Etruria padana e adriatica.
In collaborazione con: AICC -DSI, Associazione italiana di cultura classica, Delegazione della Svizzera italiana.